Agostino: un ragazzo di oggi, un santo di domani

Agostino ha vissuto tutte le tappe e i travagli che vivono i ragazzi d’oggi, perché ha vissuto in un’epoca tanto simile alla nostra: la decadenza tardo-ellenistica dell’Impero, con le sue evasioni, i suoi falsi ideali, il suo edonismo sfrenato, il bisogno di cerchie di amicizie intime in cui rifugiarsi dal mondo, i titoli di studio e la carriera, la celebrità e l’esibizione, gli attacchi terroristici e la paura della fine del mondo. Proprio per questo Agostino è anche il modello possibile per i Santi di domani, che se ci saranno, ci saranno perché provenienti dall’attuale gioventù, intelligente e inquieta, edonista e ipersensibile, assetata di verità e drogata di sensazioni, come lo era il futuro Padre della Chiesa

(Foto Siciliani-Gennari/SIR)

Quando pensiamo a sant’Agostino, subito siamo portati a immaginare un vecchio solenne dalla barba grigia, vestito da vescovo tridentino, con qualche tomo in mano.
Eppure non c’è Santo più fresco, più attuale di Agostino.
È un giovane intelligente di provincia, di famiglia cristiana ma piuttosto disinteressato alla questione religiosa, al punto da prendere in giro un amico che, in punto di morte, per scaramanzia si era fatto battezzare, salvo poi tornare in salute! Anzi, di Dio non ne voleva proprio sapere: “Avevo dentro di me un appetito insensibile al cibo interiore, a te stesso, Dio mio, e quell’appetito non mi affamava, bensì ero senza desiderio di cibi incorruttibili, né già per esserne pieno; anzi, quanto più ne ero digiuno, tanto più ne ero nauseato.” (Confessioni, III 1)
Dopo un’adolescenza di marachelle e furti di pere, si sposta nella grande città, Cartagine, per iscriversi all’università e fare carriera. Ne combina di tutti i colori, e con vergogna e franchezza ricorda gli eccessi della sua chiassosa comitiva, dall’orientamento sessuale a dir poco confuso: “Amare ed essere amato mi riusciva più dolce se anche del corpo della persona amata potevo godere. Così inquinavo la polla dell’amicizia con le immondizie della concupiscenza, ne offuscavo il chiarore con il Tartaro della libidine. Sgraziato, volgare, smaniavo tuttavia, nella mia straripante vanità, di essere elegante e raffinato. Quindi mi gettai nelle reti dell’amore, bramoso di esservi preso. Dio mio, misericordia mia, nella tua infinita bontà di quanto fiele non ne aspergesti la dolcezza! Fui amato, raggiunsi di soppiatto il nodo del piacere e mi avvinsi giocondamente con i suoi dolorosi legami, ma per subire i colpi dei flagelli arroventati della gelosia, dei sospetti, dei timori, dei furori, dei litigi.” (Ibidem).
Mette persino incinta una ragazza, e gliene viene un figlio: Adeodato, che morirà adolescente.

Però Agostino non è uno stupido, e si rende conto che nella vita il piacere non basta, le sensazioni e le emozioni forti che cerca con gli spettacoli teatrali non bastano: Agostino inizia a bramare la verità.

Quindi mentre insegna alle superiori, tra uno spettacolo a tinte forti, un aperitivo con gli amici e qualche intrallazzo amoroso, si mette a cercare la verità, e capita, come tanti giovani istruiti e ignari di oggi, in una setta New Age, quella dei manichei, che dietro tante chiacchiere spiritualoidi si rivelano, come tutte le sette orientaleggianti di ieri e di oggi, del tutto inconsistenti.
Un aneddoto simpatico: la mamma di Agostino, tipica madre cattolica preoccupata dal figlio che non va in chiesa, un giorno gli fa trovare a casa un anziano sacerdote, un vescovo che dà alla madre il consiglio aureo che noi preti dovremmo dare più spesso alle mamme ansiogene (e a noi stessi): “Lascialo stare dov’è. Prega soltanto il Signore per lui. Scoprirà da se stesso, leggendo, dove sia il suo errore e quanto sia grande la sua empietà.” (Ivi, III 12). Cioè: fidati della sua intelligenza, e dell’iniziativa di Dio nella sua vita. Beh, direi che ci ha visto giusto. Chissà quanti sant’Agostini vengono abortiti dalle pressioni di famiglie cattoliche di nomea, che costringono i figli a una prassi formalistica come quella che perseguono loro, anziché concedere ai giovani il tempo e lo spazio di crescere, di interiorizzare, e di aprirsi liberamente.

E infatti Agostino a un certo punto si stufa dell’aria fritta dei manichei, e si mette a studiare seriamente la filosofia; continuano le feste, il lavoro da professore, le love stories, i sospiri inquieti; continua a essere un bamboccione con mamma che gli stira le camicie e gli prepara il pranzo; però, un passetto alla volta, scende sempre più in profondità…

Finché approda a Milano, e un giorno rimane folgorato dalla predicazione del vescovo Ambrogio. Capita anche a tanti ragazzi e ragazze di oggi, più di quanti ne credano i disfattisti ecclesiali: dopo tanto vagare, rimangono colpiti dalle parole di un prete che, come fu per Agostino, all’inizio sembra loro poco meno di un alieno per la questione del celibato (“Lo stesso Ambrogio era per me un uomo qualsiasi, fortunato secondo il giudizio mondano perché riverito dalle massime autorità; l’unica sua pena mi sembrava fosse il celibato che praticava. Delle speranze invece che coltivava, delle lotte che sosteneva contro le tentazioni della sua stessa grandezza, delle consolazioni che trovava nell’avversità, delle gioie che assaporava nel ruminare il tuo pane entro la bocca nascosta del suo cuore, di tutto ciò non potevo avere né idea né esperienza.” Ivi, VI 3). Poi però iniziano a capire cosa, Chi c’è dietro quelle parole, capiscono, come capì Agostino, che quella parola che attira e turba e provoca e rischiara li mette davanti a una possibilità di gioia fino a quel momento impensata.
Agostino accetta di arrendersi a questa Parola nuova, che irrompe nella sua vita, e lo ridesta; Ambrogio, troppo impegnato, lo affida al prete Simpliciano, che gli fa da direttore spirituale, perché ogni cammino serio nei terreni inesplorati dello Spirito richiede una guida.
Inizia il cammino vero e proprio di Agostino nella fede della Chiesa, che l’avrebbe portato a divenire, tanti anni e sofferenze dopo, addirittura uno dei quattro Padri della Chiesa d’Occidente.
Chi l’avrebbe mai detto? Forse sua madre, Monica, chissà!

Agostino ha vissuto tutte le tappe e i travagli che vivono i ragazzi d’oggi, perché ha vissuto in un’epoca tanto simile alla nostra: la decadenza tardo-ellenistica dell’Impero, con le sue evasioni, i suoi falsi ideali, il suo edonismo sfrenato, il bisogno di cerchie di amicizie intime in cui rifugiarsi dal mondo, i titoli di studio e la carriera, la celebrità e l’esibizione, gli attacchi terroristici e la paura della fine del mondo.

Proprio per questo Agostino è anche il modello possibile per i Santi di domani, che se ci saranno, ci saranno perché provenienti dall’attuale gioventù, intelligente e inquieta, edonista e ipersensibile, assetata di verità e drogata di sensazioni, come lo era il futuro Padre della Chiesa.
Come portarli da questo a quello?
Direi che gli ingredienti sono tre: servono tante santa Monica, cioè famiglie che sappiano supportare e sopportare le nuove generazioni con amore e preghiera (nascosta); servono ancor di più tanti sant’Ambrogio, ovvero preti dalla vita radicale e dalla parola ispirata, provocatoria ed evocativa di bellezza; infine, come consigliò all’epoca a santa Monica quel vecchio vescovo profetizzando, serve consegnarli alla loro stessa libertà, confidando che la Grazia, che non dorme, porterà frutto in chi vorrà liberamente lasciarle una fenditura anche minima.
Iniziamo una buona volta a occuparci seriamente dei primi due punti: al terzo ci penserà Dio.

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