Il dovere di crederci e sperare

La larga fiducia ottenuta in Parlamento dovrebbe costituire, per il governo Draghi, la migliore garanzia per una tranquilla navigazione. A parte Fratelli d’Italia, che ha scelto di restare all’opposizione, pressoché tutte le formazioni hanno deciso di aderire alla richiesta di Mattarella e dare vita così a un Governo di unità nazionale. Il condizionale è d’obbligo, non solo perché di “irreversibile” c’è solo la morte, come provocatoriamente dice Salvini, ma anche perché i malumori manifestatisi nei vari partiti, da quelli più evidenti a quelli più striscianti, giustificano più di un timore circa le sorti di questo 67.mo governo della Repubblica italiana, terzo di questa 18.ma legislatura. La speranza è che lo spirito unitario che animò il periodo post-bellico possa, miracolosamente, riaffiorare oggi.

(Foto: Presidenza del Consiglio dei ministri)

La larga fiducia ottenuta in Parlamento dovrebbe costituire, per il governo Draghi, la migliore garanzia per una tranquilla navigazione. A parte Fratelli d’Italia, che ha scelto di restare all’opposizione, pressoché tutte le formazioni hanno deciso di aderire alla richiesta di Mattarella e dare vita così a un Governo di unità nazionale. Il condizionale è d’obbligo, non solo perché di “irreversibile” c’è solo la morte, come provocatoriamente dice Salvini, ma anche perché i malumori manifestatisi nei vari partiti, da quelli più evidenti a quelli più striscianti, giustificano più di un timore circa le sorti di questo 67.mo governo della Repubblica italiana, terzo di questa 18.ma legislatura. La speranza è che lo spirito unitario che animò il periodo post-bellico possa, miracolosamente, riaffiorare oggi. La figura dell’uomo chiamato a guidare l’esecutivo è così autorevole dal motivare questa speranza. Più che nel programma presentato alle Camere, le intenzioni di Draghi sono racchiuse nelle raccomandazioni rivolte ai suoi ministri nella prima riunione tenuta subito dopo il giuramento al Quirinale. In mezz’ora Draghi ha chiarito lo scopo, il metodo e lo stile che intende imprimere al suo governo e ai quali i suoi ministri sono tenuti a uniformarsi. Un governo dunque nato per “restituire fiducia al Paese, affrontare le emergenze, mettere in sicurezza l’Italia e costruire le basi per il suo futuro, con una visione ambientalista e digitale”. Per riuscire in questa missione, ha chiesto uno sforzo collettivo, chiarendo che “l’unità non è un’opzione, ma un dovere” e che “prima dell’appartenenza viene la cittadinanza”, nel senso che le culture e le esperienze diverse devono essere elemento di ricchezza per affrontare insieme “questo disastro, che ha provocato una grave crisi sanitaria, economica, sociale, culturale, educativa”. Quanto allo stile, in controtendenza al vezzo diffuso di anticipare i provvedimenti ancor prima della loro approvazione, ha indicato quello da tenere: “noi comunichiamo quello che facciamo”. Quale migliore presentazione per chi chiedeva un cambio di passo! Ma la parte più geniale del piano di Draghi, sta nella formula di governo adottata per perseguire il suo obiettivo: da una parte i ministri tecnici, chiamati a fare le cose; dall’altra, i ministri politici, chiamati a fare le riforme. Un modo, questo, per assicurare, anche, che con il suo governo le forze politiche non sono uscite di scena, come da più parti si sostiene, lasciando al Parlamento il potere sovrano di approvare o respingere i vari punti del programma che il governo proporrà. Programma che, nello stile di Draghi, non consiste nella solita lunga lista omnicomprensiva, ma nella indicazione delle cose essenziali da fare, divise in base a un crono programma, dettato dalla loro urgenza. Un segno ulteriore della concretezza e della credibilità dello Statista. Così che fra i provvedimenti urgenti, da realizzare nel breve periodo, oltre alla gestione delle cento e più crisi aziendali (tra cui Alitalia e ILVA) e il superamento del blocco dei licenziamenti, figura il Recovery Plan che, con i suoi 209 miliardi, rappresenta un’opportunità irrepetibile per fare “investimenti significativi con il solo vincolo che siano fatti bene, cioè che aumentino la crescita del Paese”. Seguono le cose da fare nel medio termine, tra cui le riforme della pubblica amministrazione e della giustizia. Anche perché, ha chiarito, spendere non è facile senza validi centri di spesa, mentre è estremamente importante “che nessun euro dei 209 miliardi venga investito in modo improprio o, peggio ancora, non speso”. A nessuno, per primo a Draghi, sfuggono i rischi che corre il suo governo, primo fra tutti quello connesso alla difficoltà di tenere insieme uomini del PD e della Lega, seguaci di Grillo e  Berlusconi, specialmente nel momento in cui si dovranno approvare provvedimenti impopolari. Di fronte all’imperativo di rispondere a quest’ultima chiamata per fare uscire il Paese dalle macerie, è richiesto a tutti di credere nell’impresa e di sperare nella sua buona riuscita. “Sapremo sacrificarci – per rispondere all’invito di Draghi – per i nostri figli e nipoti come i nostri padri e i nostri nonni si sono sacrificati per noi”?

(*) direttore “La Vita Diocesana” (Noto)