Tutti nella stessa barca

Sembra il più prosaico dei commenti, invece lo ha detto Papa Francesco nel corso di una diretta televisiva che ha bloc- cato il mondo per un’ora. Immagini nuove, sciabole di solitudine penetrate negli animi scossi da una delle giornate più dure da quando l’invasione del coronavirus è cominciata.

(Foto Vatican Media/SIR)

Sembra il più prosaico dei commenti, in- vece lo ha detto Papa Francesco nel cor- so di una diretta televisiva che ha bloc- cato il mondo per un’ora. Immagini nuove, sciabole di solitudine penetrate negli animi scossi da una delle giornate più dure da quando l’invasione del coronavirus è comin- ciata. Un nemico che i film di fantascienza de- scrivevano arrivare dalle lontane galassie e che invece covava dentro una foresta, indi- sturbato chissà da quando. Poi si è incontra- to con noi. E noi non abbiamo che un’arma: rinchiuderci in casa. Come nelle favole dei bambini: sopravvive al lupo, che da fuori sof- fia forte, chi ha la casa di mattoni, non di pa- glia né di legno.

I dati però, quelli che fanno male e fanno pau- ra, quelli che impietriscono la ragione e gela- no l’anima, sono veri: né favole, né fantasie. Venerdì 27 marzo, il giorno nero: 919 morti, dopo giorni di un trend in crescita.

“Su questa barca ci siamo tutti” ha detto e ri- petuto papa Francesco, solo pure lui di fron- te all’abbraccio vuoto del colonnato del Ber- nini. Ha commentato il passo del Vangelo che racconta della tempesta sedata.

Una tempesta che scuote noi, generazioni che non hanno conosciuto la tragedia delle guer- re mondiali, come mai niente prima. Di fron- te ad essa si accendono tutti i perché dell’uo- mo davanti a ciò che non comprende e non domina. Perché questo male. Perché tanti ma- lati. Perché tanti morti. Quando ne usciremo. Quando sarà come prima. E, soprattutto, sarà come prima? Abbiamo bisogno di tornare a quello che conosciamo, ne abbiamo bisogno per placare la paura, il vento che oggi scuote la barca delle nostre vite.

In questo perderci tra tante domande, il pas- so commentato da papa Francesco ci riporta ad una umanità simile, smarrita, in balia di eventi nuovi (là le onde, qui la pandemia). Una umanità così antica e così uguale.

Papa Francesco, in una sera desolata – sferza- ta dalla pioggia, incalzata dalle tenebre – si è dimostrato nella potenza che ha e che è: pa- cato, mite, fermo.

Lui, nuovo Pietro, ad interloquire con quel Dio che temiamo appisolato, incurante dei marosi che terrorizzano noi, sue creature. Lui, padre del mondo, a pregare con e per i suoi figli quel Padre sommo che tutto può. Entriamo nella Settimana santa, che sarà sen- za i riti condivisi che conosciamo. Sono an- che i giorni dell’anniversario della morte ter- rena di San Giovanni Paolo II (2 aprile 2005). Torna il calendario di sempre: ma quel sem- pre, è diventato un mai. Mai una quaresima così. Mai un papa solo in piazza San Pietro nata con le braccia aperte come il crocifisso che Francesco ha esposto e pregato. Una piaz- za vuota e scura, tanto distante dalle affolla- tissime adunate delle Gmg, delle feste, delle esequie dei papi.

Eppure, anche se rintanati in casa, 17,5 milio- ni di italiani e chissà quante altre persone del mondo erano lì, tra quelle colonne, tutti invi- sibili e tutti bisognosi di veder placare la tem- pesta. Francesco lo ha sentito.

Come i vescovi, quello stesso 27, si sono reca- ti nei cimiteri a pregare per i morti senza fu- nerale del coronavirus, così il papa ha raccol- to lo smarrimento dell’umanità, è andato a poppa della barca della Chiesa e ha implora- to: “Salvaci, Signore, siamo perduti”.

Ma ci ha anche ricordato che serve un’uma- nità nuova, fraterna, solidale, condivisa. E’ tempo di remare insieme, perché “Su questa barca ci siamo tutti”.

 

(*) direttore “Il Popolo” (Pordenone)

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