I senza dimora ospiti della Caritas di Roma. Farneti: “Il rischio grande è che gli ultimi continuino ad essere ultimi”

La “Fraterna domus” a Sacrofano, è una cittadella dell’accoglienza poco fuori dal raccordo anulare di Roma, che il Sir ha visitato per raccontare come la Caritas di Roma si sia dovuta reinventare per gestire l’ospitalità delle persone senza dimora, passato da un servizio di 15 ore al giorno ad uno di 24 ore, rispettando le regole per contrastare la pandemia di coronavirus Covid-19. In due palazzine con tanto verde intorno, da oltre un mese sono alloggiate 90 persone, tutti uomini, provenienti dall’ostello di via Marsala, da Ostia e da Ponte Casilino, sistemati in camere con a disposizione spazi ampi, refettorio e, soprattutto, la cucina, dove tutti dichiarano di essere felici di poter gustare le tagliatelle con i funghi e il pollo arrosto che le suore gli preparano

foto SIR/Marco Calvarese

L’emergenza sanitaria che stiamo affrontando ha messo a nudo alcune criticità del sistema sociale contemporaneo e, mentre in generale ci si preoccupava delle più complesse problematiche personali, economiche e sociali, la Caritas ha continuato a preoccuparsi ed occuparsi di quelli che vivono all’ombra dei nostri giorni, i senza dimora, gli ultimi. “L’Italia è un Paese bellissimo. Il più bello del mondo. I turisti vengono da tutto il mondo, anche gli studenti, e tutti la amano. Siete nei nostri cuori. Siamo con voi Italia. Ti amo Italia”. Queste sono le parole che Ali, afghano senza dimora, ha scritto sul cartone di una scatola e consegnato agli operatori di una delle case di accoglienza della Caritas di Roma dove è ospite. Una struttura come la “Fraterna domus” a Sacrofano, una cittadella dell’accoglienza poco fuori dal raccordo anulare di Roma, che il Sir ha visitato per raccontare come la Caritas di Roma si sia dovuta reinventare per gestire l’ospitalità delle persone senza dimora, passato da un servizio di 15 ore al giorno ad uno di 24 ore, rispettando le regole per contrastare la pandemia di coronavirus Covid-19.

In due palazzine con tanto verde intorno, da oltre un mese sono alloggiate 90 persone, tutti uomini, provenienti dall’ostello di via Marsala, da Ostia e da Ponte Casilino, sistemati in camere con a disposizione spazi ampi, una libreria, refettorio e, soprattutto, la cucina, dove tutti dichiarano di essere felici di poter gustare le tagliatelle con i funghi e il pollo arrosto che le suore gli preparano.

foto SIR/Marco Calvarese

“Si autodisciplinano e noi cerchiamo di consentire loro una permanenza abbastanza agevole, non troppo pesante, organizzando delle attività e facendoli collaborare”, spiega Alberto Farneti, rappresentante della Caritas Roma nel centro di accoglienza Fraterna Domus:“Abbiamo anche dei volontari che ci aiutano e ci sostengono per attivare delle iniziative come il corso di lingua italiana due volte a settimana”. Fondamentale l’apporto dei volontari, cresciuti in numero importante in questo periodo, che aiutano nel dialogo con le persone ed a gestire tempi e spazi, stando attenti a far rispettare anche le regole più elementari, come quella di non conservare generi alimentari in camera, difficile da far comprendere a chi è abituato ad accumulare per paura di restarne senza. “I nostri ospiti cercano di darci una mano anche nelle attività ordinarie come la lavanderia, le pulizie. Cerchiamo di non far sentire troppo il peso si questo piccolo esilio”, prosegue Farneti che non nasconde le difficoltà di una convivenza tra persone di diverse nazionalità, con difficoltà, problematiche, bisogni e necessità, acuiti dal tempo trascorso.

“Alle persone che sono qui manca un po’ la dimensione della libertà, una libertà molto concreta. Liberi di circolare e andare dove desiderano, uscire. Manca anche una progettualità, perché non sapere quando finirà questo fenomeno”, dichiara l’operatore della Caritas di Roma che pone l’accento sul disorientamento e l’ansia che colpisce tutti ed in particolare chi soffre già un disagio sociale e psicosociale. L’emergenza sanitaria serve comunque al “recupero della dimensione dell’essenziale”, secondo Farneti, preoccupato di come forse si stia cercando di tornare alla normalità a cui eravamo abituati, senza tenere conto di quanto sta accadendo nel mondo in generale ed in particolare in Italia, uno dei Paesi più colpiti: “Forse l’insegnamento più giusto è quello di recuperare qualcosa di prezioso che questo periodo ci sta suggerendo: l’essenzialità e un ritorno alla normalità ma facendo tesoro di quello che questo contesto, questo fenomeno ci sta insegnando”. La solidarietà è una dimensione che dovrebbe essere recuperata in modo più consistente, non solo da chi già se ne occupa. Secondo Farneti,

“il rischio grande che stiamo correndo, che non è assolutamente scongiurato, è che gli ultimi continuino ad essere ultimi, sempre più indietro e lasciati sempre più soli”.

“Il recupero di  una solidarietà trasversale, universale, questo credo sia importante – afferma – perché altrimenti ricadremmo nel solito errore che abbiamo sempre fatto, richiudendoci nei nostri orticelli, egoismi, nel nostro mondo più o meno patinato. Questo non ci aiuta a ricreare una dimensione umana della vita ma soltanto a disumanizzarla e renderla meno umana, meno coerente con quelle che sono le istanze di vita di ognuno di noi, dell’umanità”.

Gli ultimi dentro le considerazioni di tutti sono lo spirito per ricreare una nuova società, un nuovo stile di vita, come quello che la Caritas sperimenta anche nella struttura di accoglienza di Sacrofano, dove ad aiutare c’è anche una fraternità composta da 5 frati francescani minori.

foto SIR/Marco Calvarese

“Non è sempre semplice entrare in relazione con loro perché non ci conosciamo, quindi creando familiarità e fraternità insieme a loro, pian piano si aprono con noi. Chi prende confidenza ci confida anche qual è il suo disagio, qualcuno si apre ancora di più e racconta la sua storia, la sua esperienza, alcuni arrivano anche a dirci come mai si trovano in questa situazione di indigenza”, dichiara fra Riccardo Giordanella, uno dei frati che, nella struttura Fraterna domus, quotidianamente assieme agli altri frati cura il servizio in refettorio, la preparazione e l’assistenza durante i pasti, l’organizzazione della sala, la pulizia della cucina, rifornisce le persone di materiale per l’igiene personale, oltre che l’organizzare di piccole attività con gli ospiti che, in alcuni casi, vengono anche accompagnati fuori per acquistare farmaci, fare documenti, ritirare qualcosa alla posta. “Siamo presenti, questo è il nostro modo e desiderio di esserci. Viviamo assieme a loro, condividiamo con loro questo momento di emergenza”, le parole del frate che raccoglie le preoccupazioni delle persone sul futuro, anche in considerazione della pandemia: “Qualcuno è più spaventato, qualcuno è più incoraggiato vedendo prospettive di miglioramento di risoluzione della situazione. Qualcuno certe volte ha più bisogno di incoraggiamento e della nostra vicinanza per affrontare meglio il periodo che per tutti è difficile e complesso”. Almeno un terzo degli ospiti della struttura è di religione islamica, ma questo non è un ostacolo ma la testimonianza di una possibile convivenza fraterna e pacifica, rispettosa degli spazi di preghiera di ognuno, come in questo periodo nel quale si sta celebrando il Ramadan.“Abbiamo organizzato i pasti anche per fare in modo che, visto che durante il giorno i fratelli musulmani fanno digiuno, la sera gli venga fornito un pasto più abbondante, dedicato alle loro esigenze di questo periodo”.

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