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Papa Francesco: a Pont. Consiglio testi legislativi, “le dittature nascono e crescono senza diritto” ma “nella Chiesa non può succedere questo”

(Foto Vatican Media/SIR)

“È necessario riacquisire e approfondire il senso vero del diritto nella Chiesa, corpo mistico di Cristo, dove la preminenza è della Parola di Dio e dei Sacramenti, mentre la norma giuridica ha un ruolo necessario, ma subordinato e al servizio della comunione”. Lo ha detto il Papa, ricevendo in udienza i partecipanti alla plenaria del Pontificio Consiglio per i testi legislativi, il cui compito – ha spiegato Francesco – consiste nel favorire “una genuina formazione giuridica nella Chiesa, che faccia comprendere la pastoralità del diritto canonico, la sua strumentalità in ordine alla salus animarum (can. 1752), la sua necessità per ossequio alla virtù della giustizia, che sempre deve essere affermata e garantita”. In questa prospettiva, Francesco ha definito “quanto mai attuale” l’invito di Benedetto XVI, rivolto ai seminaristi ma valido per tutti i fedeli: “Imparate anche a comprendere e – oso dire – ad amare il diritto canonico nella sua necessità intrinseca e nelle forme della sua applicazione pratica: una società senza diritto sarebbe una società priva di diritti”. “Far conoscere e applicare le leggi della Chiesa non è un intralcio alla presunta ‘efficacia’ pastorale di chi vuol risolvere i problemi senza il diritto – ha precisato il Papa – bensì garanzia della ricerca di soluzioni non arbitrarie, ma veramente giuste e, perciò, veramente pastorali. Evitando soluzioni arbitrarie, il diritto diventa valido baluardo a difesa degli ultimi e dei poveri, scudo protettore di chi rischia di cadere vittima dei potenti di turno”. “Noi vediamo oggi in questo contesto di guerra mondiale a pezzetti, vediamo come sempre c’è la mancanza del diritto, sempre. Le dittature – ha ammonito Francesco – nascono e crescono senza diritto. Nella Chiesa non può succedere questo”.
“Anche la legge penale è uno strumento pastorale e come tale deve essere considerata e accolta”, la raccomandazione di Francesco, secondo il quale “il vescovo deve essere sempre più consapevole che nella sua Chiesa, di cui è costituito pastore e capo, è perciò stesso anche giudice tra i fedeli a lui affidati”. “Quando l’Ordinario abbia constatato che per altre vie dettate dalla sollecitudine pastorale non sia stato possibile ottenere sufficientemente la riparazione dello scandalo,  il ristabilimento della giustizia, l’emendamento del reo – stabilisce, infatti, il Codice di Diritto canonico – solo allora deve avviare la procedura giudiziaria o amministrativa per infliggere o dichiarare le pene adeguate per raggiungere la finalità”. “La sanzione penale è sempre l’extrema ratio, il rimedio estremo a cui far ricorso, quando tutte le altre possibili strade per ottenere l’adempimento normativo si sono rivelate inefficaci”, ha spiegato Francesco: “Al contrario di quella prevista dal legislatore statuale, la pena canonica ha sempre un significato pastorale e persegue non solo una funzione di rispetto dell’ordinamento, ma anche la riparazione e soprattutto il bene dello stesso colpevole. Il fine riparativo è volto a ripristinare, per quanto possibile, le condizioni precedenti alla violazione che ha perturbato la comunione. Ogni delitto, infatti, interessa tutta la Chiesa, la cui comunione è stata violata da chi deliberatamente ha attentato contro di essa con il proprio comportamento”.
“Aggiornare la normativa penale per renderla più organica e conforme alle nuove situazioni e problematiche dell’attuale contesto socio-culturale, ed insieme offrire strumenti idonei per facilitarne l’applicazione”, l’esortazione finale.

(Foto Vatican Media/SIR)

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