Afghanistan: risultati elettorali, la società civile invoca unità e coesione del Paese

Unità e coesione: è quanto chiedono gli esponenti della società civile afghana di fronte alle divisioni politiche successive all’annuncio dei risultati delle elezioni presidenziali. Il 18 febbraio Hawa Alam Nuristani, a capo della Commissione elettorale indipendente, ha dichiarato che Ashraf Ghani, presidente in carica, ha ottenuto un secondo mandato. Con 924mila voti circa avrebbe ottenuto il 50,64% delle preferenze, rispetto al 39,52% (721mila circa) del principale sfidante, Abdullah Abdullah. Il risultato, riferisce Fides, è però contestato da Abdullah, con cui dal settembre 2014 Ashraf Ghani condivide la leadership di un governo di unità nazionale imposto dall’allora segretario di Stato Usa, John Kerry, per ovviare alla controversia sui risultati elettorali. Nel 2014 la soluzione è stata un “governo bicefalo”, oggi il rischio è la nascita “di un governo parallelo, ampio e inclusivo”. Così ha annunciato Abdullah, sostenuto da alcuni partiti locali e da un altro peso massimo della politica afghana, il generale Abdul Rashid Dostum. Dalla sua residenza nella provincia settentrionale di Jowzyan, Dostum ha invocato la protesta di massa contro quella che definisce una “vittoria fraudolenta”, dicendosi pronto alla nomina dei governatori delle province settentrionali, dove il candidato Abdullah, esponente del Jamiat-e-Islami, partito a maggioranza tagica, ha ottenuto più voti. Per ora gli inviti a manifestare non sono stati accolti. La popolazione guarda con disincanto e scetticismo ai risultati, che arrivano dopo quasi 5 mesi dalle elezioni. Gli esponenti della società civile non sono sorpresi: “La gente è disillusa, non ha fiducia nel governo, nelle istituzioni, nell’intero sistema”, sostiene Najiba Ayubi, volto noto della società civile e direttrice di “The Killid Radio”, rete capillare di radio indipendenti. “Il governo è percepito come illegittimo, le elezioni come viziate da irregolarità”, aggiunge Ayubi, che ricorda la bassa partecipazione al voto: i voti totali sono stati 1 milione e 823 mila, meno di un quinto dell’elettorato registrato nelle liste e appena il 18.8% dei 9,6 milioni circa registrati in quest’ultima tornata elettorale. I voti per Ghani rappresentano il 9,6% dell’elettorato registrato, ha ricordato Thomas Ruttig dell’Afghanistan Analysts Network, mentre quelli per Abdullah il 7,5%. Pur godendo di così scarso consenso, ciascuno dei due candidati rivendica una vittoria legittima, polarizzando ulteriormente il panorama politico. La situazione è già in fibrillazione per l’avvicinarsi dell’accordo di pace tra Stati Uniti e Talebani, preludio al negoziato tra gli studenti coranici e i rappresentanti del governo di Kabul: “Servirebbero unità, coesione, servirebbe anteporre l’interesse della nazione a quelli personali o di partito, ma di questo non c’è traccia”, nota Hamid Zazai, direttore di Mediothek Afghanistan, organizzazione che promuove il pluralismo dei media. “Per trattare con i Talebani serve una delegazione unita, con un’agenda condivisa, un’idea chiara del Paese da costruire. Il caos post-elettorale dimostra il contrario: prevalgono gli interessi personali e le divisioni”.

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