Mancata consegna causa Covid19

Commissionati previa caparra, da ritirare in loco dopo il saldo. Pare che nel 2020 ne siano stati ordinati un migliaio. Adesso, per colpa del coronavirus che blocca i voli, sessanta dei pronti in consegna restano in giacenza per l'impossibilità del ritiro. E pensare che in natura sarebbe bastata la cicogna… Si tratta infatti di bebè: prenotati, pagati in sei tranche, pronti 9 mesi dopo.

Commissionati previa caparra, da ritirare in loco dopo il saldo. Pare che nel 2020 ne siano stati ordinati un migliaio. Adesso, per colpa del coronavirus che blocca i voli, sessanta dei pronti in consegna restano in giacenza per l’impossibilità del ritiro. E pensare che in natura sarebbe bastata la cicogna… Si tratta infatti di bebè: prenotati, pagati in sei tranche, pronti 9 mesi dopo.
La storia riguarda Kiev in Ucraina dove, al Venice Hotel, si vanno accumulando neonati. Gli acquirenti vengono da tanti paesi del mondo: dall’Argentina come dall’Italia. Meta comune la clinica Biotexcom che – a seconda di come la si veda – realizza un sogno impossibile o produce vite su commissione.
Niente sotterfugi, tutto è alla luce del sole: basta guardare facebook del citato hotel per vedere foto e video di un salone pieno di culle e di babysitter – in magliette a cuoricini e fenicotteri rosa e azzurri – passare tra i lettini. Ma a chi mette in scena il frutto della maternità surrogata – che dall’altro lato della medaglia è un colossale affare – è sfuggito qualcosa. Del resto, come diceva Flaubert, il buon Dio si nasconde nei dettagli.
Dal sito dell’hotel si rimanda alla clinica: “Biotexcom maternità surrogata” si legge in italiano. Ma in spagnolo, che è sempre molto espressivo, suona: “Centro de reproducciòn humana”, definizione che regala il primo brivido. Il secondo viene dai costi: la maternità surrogata (o utero in affitto) costa dai 39.900 ai 64.900 euro, a seconda del pacchetto standard o vip. Il terzo dalla voce “eggs donators” (donatrici di ovuli) dove dieci giovani (dai 22 ai 29 anni), sorridono in foto e si mostrano in video. Previa registrazione se ne possono vedere (e scegliere?) quattrocento.
In Ucraina la maternità surrogata è legale, in Italia no: ma le vie degli affari sono infinite. Di solito la donna che partorisce è considerata la madre del nato. Ma le madri surrogate ucraine firmano un atto notarile di rinuncia al figlio che partoriranno (sempre definito bambino). E dal 2008 il Codice della Famiglia ucraino stabilisce che, in caso di surrogata, sono riconosciuti genitori del nato i coniugi dal cui materiale genetico si è partiti; la cosa non cambia se la fecondazione in vitro abbisogna di un donatore e quindi non tutto il materiale genetico necessario per dar inizio ad una nuova vita appartiene ai committenti.
La vicenda di questa clinica è stata raccontata più volte in tv e sui giornali (articoli si leggono sul suo stesso sito). Oggi se ne riparla perché il Covid19 ha bloccato i voli ma non i parti, così molti nati non vengono ritirati (Avvenire, giovedì 21 maggio). Aumentano le giacenze e i costi per la clinica, le ansiose attese per gli aspiranti genitori.
Come insegna papa Francesco, nessuno giudica nessuno. Il desiderio di un figlio, il suo bisogno per sé, per la società, per il coniuge…. non sono argomenti ma sofferenze e di fronte al dolore si tace.
Non si giudicano le giovani che accettano di portare in grembo queste vite: in un’intervista il proprietario della clinica le dice donne dei villaggi, spesso sole e con figli da mantenere (una delle clausole è che siano già madri, perché non si affezionino al nascituro); per questo “lavoro” ricevono quanto dieci anni del loro salario.
Certo, fanno una triste tenerezza così tanti neonati infagottati nelle loro culle, senza braccia di madre che li stringano al cuore (naturale o adottiva non cambia). E rimandano i pensieri ai bisogni (quello di essere genitori, quello di mantenere figli già nati), che certe fabbriche dei sogni sanno ben intercettare.
Quanto alle vie trovate per far entrare nel nostro paese il frutto di una pratica qui non riconosciuta legale: si riconosca almeno che i timbri non possono tutto. E’ bastato uno sguardo al salone pieno di bambini a stracciare il velo di Maya che offusca di cavilli la realtà.
Il dettaglio? Mai visti tanti biberon tutti insieme. E allora, per quanto sottili siano gli stratagemmi burocratici, la verità dei fatti – e non dei giochi di parole – resta una: le mamme allattano, i certificati legali devono obbligatoriamente ricorrere ai biberon.

(*) direttore “Il Popolo” (Pordenone)

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