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Coronavirus Covid-19: in campo anche il progetto “Ospedali aperti”. Card. Zenari, “sfollati e carcerati i più vulnerabili”

Sedici casi e due morti, una città, Mnin (Damasco) in quarantena: la Siria cerca di arginare il Coronavirus. Emanate severe restrizioni fino al coprifuoco che per questo week end (oggi e domani) è stato esteso da mezzogiorno alle 6 del mattino. L'allarme dell'Oms: "il sistema sanitario siriano è attivo al 50% a causa della guerra. Mancano dispositivi di protezione e ventilatori polmonari. Le sanzioni ostacolano il lavoro". L'impegno del nunzio apostolico, il card. Zenari e della Fondazione Avsi, in prima linea con il progetto "Ospedali Aperti"

Damasco, foto SIR/Marco Calvarese

Entrata nel suo decimo anno di guerra, la Siria si trova adesso ad affrontare anche lo spettro del Coronavirus Covid-19. Con oltre 500mila morti, milioni di sfollati, infrastrutture al collasso e, quel che più conta, con scontri ancora in corso a Idlib, nel nord-ovest, il rischio di una pandemia è più che mai reale. Nelle scorse settimane scorse il regime del presidente di Bashar al Assad aveva smentito la presenza di contagi salvo fare dietro front quando il ministero della Salute, Nizar Yazaji, ha diffuso la notizia del primo decesso da coronavirus. A partire dal 12 marzo il Governo ha emanato tutta una serie di misure per contenere il virus: posticipate a maggio le elezioni, chiusi i confini, riduzione del pubblico impiego e del trasporto pubblico, chiuse scuole, università, moschee, chiese, e anche negozi, cinema e ristoranti per evitare assembramenti. Fino ad arrivare all’introduzione del coprifuoco dalle 18 della sera alle 6 del mattino. Solo le persone autorizzate possono uscire e tra queste ovviamente i medici e gli operatori sanitari. Misure che sembrano, per ora, arginare la pandemia: al 2 aprile, i casi confermati sono saliti a 16 e due i morti. Ancora di ieri la notizia, diffusa dall’agenzia Sana, della messa in quarantena della città di Mnin, (governatorato di Damasco) dove una donna è morta per coronavirus.

foto SIR/Marco Calvarese

La denuncia dell’Oms. La stessa agenzia riporta anche le dichiarazioni di Neamt Said Abd, rappresentante in Siria dell’Oms, Organizzazione mondiale della Sanità, che ha auspicato la fine delle sanzioni perché danneggiano anche il sistema sanitario e affermato che la Siria è solo all’inizio della curva ascendente della diffusione del virus, per cui resta necessaria la misura del distanziamento sociale. Anche per questo motivo  le Autorità hanno esteso il coprifuoco, oggi e domani, da mezzogiorno alle 6 del mattino. L’Oms già nei giorni scorsi aveva avvertito che “l’emergere del virus nei Paesi con sistemi sanitari fragili come Siria e Libia è particolarmente preoccupante. Preoccupa anche la carenza di kit per i test di laboratorio e di attrezzature protettive per gli operatori sanitari. Le restrizioni di viaggio e la chiusura delle frontiere ostacolano la capacità dell’Oms di fornire competenze tecniche e forniture urgenti a questi e ad altri paesi”. In Siria, riporta l’Oms, “più di 9 anni di guerra hanno avuto un forte impatto sulla capacità del settore sanitario che può contare solo sul 50% degli ospedali pubblici e sul 47% dei centri sanitari di salute pubblica. Migliaia di medici e operatori sanitari sono fuggiti dal paese a causa del conflitto”. Secondo l’Oms,

“un focolaio di Covid-19 nel Governatorato di Idlib dove si combatte, oggi l’area meno preparata in Siria per affrontare una pandemia potrebbe avere un impatto devastante sulle centinaia di migliaia di persone sfollate internamente che vivono in campi sovraffollati e per questo altamente sensibili alle malattie infettive”.

“Ospedali Aperti” in campo. In questo sistema sanitario al collasso chi cerca di farsi trovare pronto ad un focolaio di Covid-19 sono i tre nosocomi del progetto “Ospedali aperti”, voluto dal card. Mario Zenari, nunzio apostolico in Siria, con Avsi, per assicurare l’accesso gratuito alle cure mediche ai siriani poveri, attraverso il potenziamento di tre ospedali cattolici non profit: l’Ospedale Italiano e l’Ospedale Francese a Damasco, e l’Ospedale St. Louis ad Aleppo. Il Progetto, dal 2017 ad oggi, ha fornito oltre 33700 trattamenti a persone vulnerabili. E si punta, Covid-19 permettendo, a quota 50mila trattamenti per la fine dell’anno. Avsi sta avviando una partnership con due dispensari di Damasco per ampliare l’offerta delle prestazioni mediche.

“I test effettuati sono pochi anche se mirati e vengono esaminati nel laboratorio del Ministero della Salute con il supporto dell’Oms – spiega al Sir Flavia Chevallard, responsabile del progetto gestito dalla Fondazione Avsi in Siria –

nella popolazione c’è molta paura per una eventuale diffusione del contagio.

Serpeggia anche la convinzione che i casi siano molti di più, non solo nella Siria controllata dal Governo, ma anche e soprattutto nel Nord-Ovest, a Idlib. La speranza di tutti è che il contagio qui non si diffonda con la stessa virulenza della Cina, dell’Italia, della Spagna o del vicino Iran. Se accadesse sarebbe una ecatombe. Tutte le capacità di cui avremmo bisogno per prevenire o mitigare il contagio qui sono davvero ridotte. Serve molto aiuto (www.avsi.org)”.

Pochi posti letto e pochi ventilatori polmonari. E i numeri lo confermano: secondo Save the Children “nel nord-ovest della Siria, ci sono un totale di 153 ventilatori e 148 posti letto in terapia intensiva, a fronte di quasi un milione di sfollati che vivono in aree sovraffollate e di una popolazione di 3 milioni di persone. Nella Siria nord-orientale sono meno di 30 i posti in terapia intensiva, solo 10 i ventilatori per adulti e un solo ventilatore pediatrico, per una popolazione di 1,3 milioni di persone”. “Nei nostri tre ospedali – aggiunge Chevallard – abbiamo in tutto 24 ventilatori, usati per diverse patologie e 29 posti di terapia intensiva. In queste settimane abbiamo dovuto fornire cure solo ai malati più gravi così da evitare affollamenti nei nosocomi e abbattere la possibilità di contagio. La prima cosa, infatti, è proteggere il personale sanitario dotandolo anche di protezioni adeguate, mascherine, guanti, tute e disinfettanti. Il problema, però, è reperire sul mercato queste protezioni come anche i ventilatori polmonari.

Qui in Siria è più difficile perché il potere di acquisto della valuta siriana è crollato. I prezzi invece sono saliti moltissimo. Le sanzioni internazionali (Ue-Usa, ndr.) rendono più difficile l’arrivo dei macchinari diagnostici. La Siria è un Paese in guerra, sotto embargo internazionale e la pandemia di Coronavirus viene a gravare ulteriormente su una situazione già molto critica. Farvi fronte è una sfida enorme”.

“Farci trovare pronti”. “Dobbiamo cercare di farci trovare pronti ad una diffusione del contagio per questo stiamo cercando di reperire dei respiratori polmonari e dispositivi di protezione” – ribadisce al Sir il nunzio, card. Zenari,

“Una diffusione del contagio sarebbe una vera catastrofe, non solo per la popolazione ma anche per i medici e gli operatori sanitari”.

(Foto Siciliani-Gennari/SIR)

“Al momento attuale – aggiunge il nunzio – siamo del tutto impreparati come già detto a fine marzo dall’inviato Onu per la Siria, Geir Pedersen, al Consiglio di Sicurezza. Preghiamo che questa epidemia non si estenda anche in Siria. Sarebbe come cercare di tamponare con una mano una diga che fa acqua”. Il nunzio si dice preoccupato anche per i 6 milioni di siriani sfollati interni: “Bisogna pensare anche a dove e come vivono. Ce ne sono almeno un milione dentro campi di fortuna carenti del tutto dal punto di vista igienico e sanitario. Come possiamo pretendere da questa povera gente che si lavino le mani più volte al giorno se non hanno nemmeno l’acqua da bere?

Pensiamo anche ai detenuti nelle carceri.

Anche per loro, in questa fase di diffusione del virus, è urgente un gesto di buona volontà da parte di tutte le parti in lotta che li tengono prigionieri”.

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