“L’arte di guarire” di don Fabio Rosini: “La vita, cammino costante tra malattia e guarigione”

Il nuovo libro di don Fabio Rosini, che da anni in Italia e all’estero, serve e accompagna i giovani, e non solo, nel percorso dei “Dieci Comandamenti” e dei “Sette Segni” del Vangelo di Giovanni, offre al lettore la possibilità di un cammino personale per arrivare a sperimentare quella “forza che usciva da Gesù e che sanava tutti”. Toccare con mano e col cuore la potenza di un “amore più grande”, capace di rigenerare, di ridare “quella salute – dice don Fabio – che non è assenza delle malattie, ma un equilibrato rapporto con la propria fragilità”

(Foto Siciliani-Gennari/SIR)

La voce di qualcuno che ci parla di Gesù, della sua “bellezza”, con l’unico fine di suscitare in noi il desiderio di poter toccare almeno il lembo del suo mantello. Questo, in sintesi, il senso dell’ultimo libro di don Fabio Rosini, sacerdote romano, direttore del Servizio per le vocazioni della diocesi di Roma. Un viaggio diviso in tre tappe precise perché “l’uomo ha costantemente bisogno di essere curato e guarito”, dice don Fabio, che da anni in Italia e all’estero, serve e accompagna i giovani, e non solo, nel percorso dei “Dieci Comandamenti” e dei “Sette Segni” del Vangelo di Giovanni. Un testo che offre al lettore la possibilità di un cammino personale per arrivare a sperimentare quella “forza che usciva da Gesù e che sanava tutti”. Toccare con la mano e con il cuore la potenza di un “amore più grande”, capace di rigenerare, di ridare “quella salute – aggiunge – che non è assenza delle malattie, ma un equilibrato rapporto con la propria fragilità”.

Dopo “L’arte di ricominciare”, “L’arte di guarire”. Possiamo considerare questo tuo ultimo libro come un ulteriore passo in quell’arte del “saper vivere”, che accompagna il cammino personale della vita interiore e affettiva di ciascuno di noi?
Assolutamente sì! Il fatto che “L’arte di guarire” arrivi esattamente dopo “L’arte di ricominciare” non è esattamente intenzionale. In teoria, diciamo che se proprio volessimo essere precisi, bisognerebbe partire dall’arte di guarire e passare poi a quella di ricominciare. In realtà, le cose sono semplicemente parallele perché

guarire è un atto costante della nostra vita.

Nel tuo libro ricordi di aver avuto a che fare in questi anni con uomini e donne, soprattutto giovani, sclerotizzati, anchilosati. È sempre stato così o oggi in particolare siamo vittime di questo modo di interpretare la vita?
È sempre stato così, siamo sempre stati così perché questa è la realtà umana. Il desiderio che l’uomo ha in sé di essere sicuro lo porta ad affezionarsi a punti di appoggio, reali o molto spesso solo ipotetici. Non è questione di essere diventati rigidi, impacciati, incastrati, ripeto, lo siamo sempre stati, anzi, oggi forse lo siamo un pochino di meno. Intanto perché c’è maggior consapevolezza di ciò che siamo e di ciò che alla fine ha deluso la nostra vita e poi perché c’è forse anche qualche aiuto in più rispetto a prima, ma la fragilità è sempre tanta.

Perché la scelta dell’emorroissa per accompagnare il lettore in questo viaggio?
Proprio perché l’intervento di Gesù nella sua vita è un segno, per lei e per tutti. La sua è una storia emblematica, una vita emblematica. Una donna che ha a che fare con una fragilità che la blocca, la isola. I segni compiuti da Gesù sono sempre segni dinamici, che non si fermano all’atto stesso. Noi infatti abbiamo un modo di ragionare che ci fa distinguere tra nero o bianco, tra guarito e malato. Non è così. Le cose sono dinamiche, siamo sempre in un cammino di guarigione costante e dobbiamo imparare dai cammini già fatti, per questo abbiamo scelto il cammino di una donna, dalla sua malattia alla salute e lo abbiamo copiato entrandoci dentro. La vita però, è sempre un cammino costante tra la malattia e la guarigione.

Abbiamo vissuto un tempo di chiusura totale. Una clausura forzata che ha spezzato ritmi, abitudini, consuetudini. La guarigione può passare anche attraverso un momento così apparentemente distruttivo?
Innanzitutto, questa quarantena è stata una grande occasione in generale, e nello specifico una grande occasione di correzione, di guarigione direi. È stata una pedagogia. Io non conosco l’origine di questo virus e penso che alla fine non sapremo mai con precisione da dove sia uscito e perché. Quello che so è che Dio si serve di tutto, anche di questa pandemia, per farci vivere un tempo di guarigione, di “reset” del nostro “modus vivendi”. Certo, tutto quello che abbiamo vissuto è stata una cosa seria, ma il difficile viene adesso. Come spiego nel libro infatti, ciò che è molto difficile non è tanto la guarigione quanto la convalescenza, cioè quel momento in cui ci si ritiene ormai sani e invece in realtà siamo ancora molto malati. La convalescenza è molto più delicata della malattia perché, e anche questo caso non fa eccezione, le ricadute sono peggiori della malattia stessa.

La “guarigione” è una delle tappe del tuo libro, le altre due sono la “diagnosi” e la “salute” appunto. C’è un pensiero con cui desideri accompagnare ciascuna delle tre fasi?
La diagnosi del nostro stato di salute è necessaria e va fatta con onestà. Per quanto riguarda la guarigione, nessuna cura non è azzeccata finché non si riconosce la malattia. La cura non è mai come la pensiamo noi. Mai il malato può dettare le condizioni della cura, perché la cura si riceve, e siamo nell’ordine della grazia. Ma la parte più importante e più seria è la disciplina del mantenimento della salute che è ovviamente il vero scopo del libro.

La parte più importante e più seria del libro. Perché?
Perché la salute non è assenza delle malattie, ma un equilibrato rapporto con la propria fragilità che al contrario, invece, è costante. Coloro che devono guarire non sono solo coloro che sono afflitti da una qualsiasi malattia, ma tutti. Dico questo non perché io abbia una visione negativa ed errata dell’uomo, tutt’altro. Il Signore ci ha insegnato che l’uomo ha costantemente bisogno di essere curato e guarito.

Da qualche giorno, dopo tanti giorni chiusi in casa, siamo finalmente entrati nella cosiddetta “fase due”. Questo libro può essere un strumento utile per viverla meglio? 

Penso che il Signore abbia in un certo senso utilizzato questo tempo per mandare un po’ all’aria tutti i nostri programmi. A volte sembra che fare tutto quello che abbiamo programmato sia la priorità e lo facciamo senza sapere se effettivamente ci porterà a una meta. Ecco, forse più che di programmi abbiamo bisogno di mete. Solo avendo delle mete, e pur considerando gli inevitabili deragliamenti della vita, anche i nostri programmi avranno un senso, perché saranno orientati alla meta. Il problema vero è che dobbiamo iniziare a vivere tutto da figli di Dio, 

anziché da cristiani organizzati. Per fare questo è necessario anzitutto accettare i nostri limiti. Questo tempo ha imposto a tutti l’obbligo di tornare alla scuola del limite, del saper vivere bene, anche le cose difficili, non disponibili, non praticabili. Se da tutto questo impareremo a vivere più di realtà, e meno di voli pindarici, sarà già una cosa meravigliosa.

Leggere i segni dei tempi è un invito che arriva da Gesù. Che lettura dai di questo tempo?

Questo tempo è la grande occasione per buttare via tanta zavorra. Non ce la possiamo cavare pensando superficialmente che ad alcuni è andata bene e ad altri male. Siamo chiamati a prenderci i pesi gli uni degli altri, e questo possiamo farlo solo se sapremo cogliere questa occasione di povertà, a cominciare da quella legata alla reale contrazione economica che attanaglia il mondo intero, come un’occasione concreta di condivisione e di guarigione. Abbiamo la possibilità di tornare alle cose di prima diversi però da come eravamo prima

Per dirla in maniera semplice, è come quando si inizia un pellegrinaggio verso il santuario di Santiago de Compostela. Più si cammina, e insieme, e più si capisce che per rendere il cammino meno faticoso, hai bisogno di liberarti di tanti pesi superflui, di tante cose inutili. E così, diretto verso la tua meta, capisci che per vivere, alla fine, ti basta poco.

 

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