Giovedì Santo

Es 12,1-8.11-14; 1Cor 11,23-26; Gv 13,1-15

L’Eucaristia che inaugura il Triduo Pasquale, la sera del Giovedì Santo, narra di due cene, nelle quali si sacrifica un Agnello, il cui sangue è salvezza e liberazione; l’una e l’altra danno il via a un esodo, da cui nasce un popolo.

La prima cena – narrata dall’Esodo – è quella dell’antico popolo d’Israele al momento di lasciare la schiavitù d’Egitto: il sangue dell’agnello sugli stipiti delle porte, garantisce la vita ai figli d’Israele nella notte della liberazione; da essa ha origine la libertà dei figli di Abramo, che potranno avviarsi verso la nuova patria, diventando “popolo di Jahvè” in virtù della prima Alleanza. Essa è profezia della cena di Gesù con i suoi apostoli.

Nella nuova cena – di cui parla la prima lettera ai Corinzi e poi san Giovanni – l’agnello immolato è Gesù stesso, che, nel pane e nel vino, presenta misticamente e realmente il suo corpo che sta per essere sacrificato e il suo sangue che sta per essere versato sulla croce. Corpo e sangue di Gesù che danno origine al nuovo popolo di Dio che, nel nuovo esodo dalla schiavitù del peccato, potrà camminare con il Signore verso la patria eterna.

E come l’antica celebrazione pasquale doveva essere “un rito perenne” per il popolo d’Israele da celebrare “di generazione in generazione” come consapevolezza della propria dignità di popolo di Dio, così il nuovo sacrificio nel segno del pane e del vino diventa annuncio e celebrazione di salvezza per mezzo della morte di Gesù, che dovrà esse perpetuato dai salvati “in memoria” di Gesù “finché egli venga”.

Dalla cena che chiudeva l’esperienza d’Egitto aveva origine il primo popolo di Dio, fondato sulla discendenza di sangue da Abramo; dalla cena che chiudeva, come prefigurazione sacramentale, l’esperienza terrena di Gesù nasceva il nuovo popolo di Dio, fondato sulla esperienza soprannaturale dell’amore fraterno. Ecco perché Gesù, in questa cena, volle lavare i piedi ai discepoli: per indicare che il legame che avrebbe tenuto unito il nuovo popolo non sarebbe stato di sangue, ma di carità: “Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi”.

L’ultima cena di Gesù sancisce così la nuova alleanza, fondata sull’amore cristiano: il nuovo popolo nasce e resta per sempre radicato sui sacramenti, a partire dall’Eucaristia, su cui tutti gli altri si fondano. Esso, fin dall’inizio e per sempre, avrà un unico statuto immutabile: quello della carità. Comunione sacramentale nel corpo e sangue di Cristo eucaristico, e comunione di carità nel servizio reciproco, nel lavare i piedi gli uni degli altri: sono queste le colonne portanti del nuovo popolo di Dio, la Chiesa. Non l’uno senza l’altro. Il separarli significa tradire il progetto di salvezza del Signore.