Camminare insieme

La Chiesa italiana ha scelto di darsi un tempo ancora più lungo di ascolto e discernimento, almeno fino al 2025. Non è tutto già delineato, il percorso si comporrà strada facendo

(Foto Siciliani-Gennari/SIR)

Con le celebrazioni presiedute dai vescovi nelle diverse diocesi del mondo, che seguono a ruota quella di papa Francesco nella Basilica di San Pietro, domenica 17 ottobre inizia a prendere forma il cammino proposto a tutte le comunità cristiane sul tema della sinodalità (cfr pag. 6 edizione cartacea).

La Chiesa italiana ha scelto di darsi un tempo ancora più lungo di ascolto e discernimento, almeno fino al 2025. Non è tutto già delineato, il percorso si comporrà strada facendo.

Intanto è chiara la prima domanda: come concretizzare oggi quel “camminare insieme” che è la natura stessa della Chiesa e ciò che rende credibile l’annuncio del Vangelo in ogni epoca? “Guardate come si amano!”, esclamavano i pagani ai tempi di Tertulliano nel vedere la vita delle comunità cristiane.

La sinodalità, d’altronde, impegna la Chiesa fin dagli inizi. E amare è l’unico modo di essere cristiani. Non ce n’è un altro. La Chiesa è invitata a riflettere su se stessa, sulla qualità (e quantità) della comunione e della partecipazione al suo interno.

Sbaglierebbe chi vedesse come fine principale del cammino sinodale un restyling delle strutture e delle abitudini ecclesiali, sia pure per renderle più ospitali e attraenti. È un’attesa legittima e un’opera spesso necessaria, ma per rigenerare le prassi e le esperienze occorre aprirsi, non ripiegarsi.

Non si tratta di rispondere soltanto a dei questionari o di fare ulteriori riunioni. Come ricordava lo stesso Pontefice nel suo recente viaggio in Slovacchia, “il centro della Chiesa non è la Chiesa. Immergiamoci nella vita reale, la vita reale della gente e chiediamoci: quali sono i bisogni e le attese spirituali del nostro popolo? Che cosa si aspetta dalla Chiesa?”. Senza questo specchio c’è il rischio di cadere nell’astrattezza e perfino nel narcisismo.

Che lo sguardo della Chiesa sia sempre un po’ strabico, rivolto alla terra e al cielo, lo pensava anche il teologo svizzero Hans Urs von Balthasar. Interrogandosi sulla litigiosità dei credenti, concludeva che si era lasciato troppo emergere il principio petrino dell’intelligenza e dell’organizzazione e si era fatto tacere il principio mariano dell’affettività, della comprensione, dell’amicizia.

Senza l’equilibrio fra questi due principi, la Chiesa zoppica; e anche il singolo credente non sta in piedi. Per “camminare insieme” non sarà superfluo meditare, oltre che sul Pietro degli Atti degli apostoli, anche su Maria di Nazaret e le altre Marie, quelle di Magdala e di Betania, che hanno accolto la presenza di Dio con una fede e un amore senza risparmi.

 (*)  “Corriere Cesenate” 

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